Indice
1. Greenhushing : la paura del Greenwashing ?
2. La definizione di greenhushing
3. Le cause del greenhushing
4. La differenza tra greenhushing e greenwashing
5. Le conseguenze del greenhushing
6. Le soluzioni per evitare il greenhushing
7. L'importanza della trasparenza
8. Conclusione : trovare l'equilibrio tra la comunicazione e l'azione
Greenhushing : la paura del Greenwashing ?
In un contesto in cui i consumatori sono sempre più attenti agli impegni ambientali delle aziende, comunicare in modo efficace e credibile la propria strategia di sostenibilità è diventato sia un’opportunità che una sfida.
Secondo uno studio dell’ADEME (Agenzia per la transizione ecologica), l’85% dei francesi richiede prove concrete per credere agli impegni ambientali dei brand, mentre il 31% dei consumatori non si fida più dei messaggi “green”, considerandoli semplici operazioni di marketing. Questo clima di sfiducia, alimentato dalla saturazione di messaggi percepiti come greenwashing, spinge alcune aziende ad adottare l’approccio opposto: il greenhushing, ovvero il silenzio per paura di critiche. Trovare il giusto equilibrio tra esporsi troppo e non comunicare affatto è oggi una delle principali sfide per chi si occupa di sostenibilità.
La definizione di greenhushing
Il greenhushing, o greenhiding, è un termine nato dalla fusione di “green” (verde) con “hush” (silenzio) o “hide” (nascondere). È stato coniato in contrapposizione al greenwashing, ovvero la pratica con cui le aziende esagerano o addirittura mentono riguardo ai propri impegni ambientali per apparire più “verdi” di quanto siano in realtà.
Al contrario, il greenhushing si basa su un silenzio volontario: l’azienda sceglie di non comunicare le proprie azioni ambientali, anche quando sono autentiche. Questa scelta nasce spesso dal timore di critiche o accuse di greenwashing. Per paura di essere accusate di esagerare i propri sforzi in materia di sostenibilità, alcune imprese preferiscono minimizzare o addirittura tacere sulle proprie iniziative in favore dello sviluppo sostenibile.
Tuttavia, instaurare un clima di silenzio – che sia voluto o dettato dalle circostanze – non rappresenta una risposta sincera ai cambiamenti necessari né contribuisce a ricostruire la fiducia dei consumatori.
Le cause del greenhushing
A causa del diffuso abuso delle ambizioni ambientali come mezzo per guadagnare quote di mercato, il divario tra le dichiarazioni delle aziende e i loro reali impegni viene messo sempre più in evidenza. L’esposizione alle critiche e alle accuse di greenwashing spinge alcune imprese a evitare il rischio di essere accusate di falsità o di esagerazione. Questa paura di essere smascherate le trattiene dal comunicare le proprie iniziative, a meno che queste non siano considerate impeccabili.
In effetti, molte aziende si trovano ancora in una fase di transizione e ritengono che le loro azioni non siano ancora abbastanza mature da poter essere valorizzate. Preferiscono quindi attendere di ottenere risultati concreti prima di comunicarli pubblicamente. L’emergere di nuove normative, come la legge AGEC (anti-spreco per un’economia circolare) o la direttiva CSRD (Corporate Sustainability Reporting Directive), introduce nuove esigenze in termini di trasparenza e comunicazione sulla sostenibilità. Di conseguenza, alcune imprese scelgono di rimandare ogni comunicazione fino a quando non saranno pienamente conformi, per timore di essere criticate per sforzi considerati insufficienti.
Tuttavia, questa interpretazione del greenhushing non è condivisa da tutti. Altre aziende, infatti, lo utilizzano anche come strategia per mascherare una pseudo-inattività climatica, adottando una posizione di silenzio e prudenza strategica, sostenendo che ogni loro sforzo verrebbe comunque esaminato e criticato nel dettaglio.
La differenza tra greenhushing e greenwashing
Il greenhushing e il greenwashing sono due strategie opposte, ma condividono un elemento in comune: entrambe ostacolano una comunicazione onesta ed equilibrata sugli impegni ambientali delle aziende.
Il greenwashing, comparso negli anni ’90, indica la pratica di esagerare, abbellire o persino mentire riguardo ai propri sforzi ecologici per conquistare i consumatori. Le aziende che lo utilizzano cercano di presentarsi più “verdi” di quanto siano in realtà, puntando su un marketing ingannevole.
Il greenhushing, al contrario, consiste nel minimizzare o nascondere volontariamente le proprie azioni ambientali, anche quando sono reali. Questa pratica è spesso motivata dalla paura di essere criticati per sforzi ritenuti insufficienti o dal timore di essere accusati di greenwashing. Alcune aziende preferiscono quindi rimanere discrete sui propri progressi, aspettando di ottenere risultati perfettamente definiti, il che può rallentare la condivisione delle buone pratiche e frenare l'effetto di traino collettivo.
Mentre il greenwashing inganna il pubblico esagerando gli impegni, il greenhushing danneggia la diffusione di iniziative positive e può creare confusione tra i consumatori. Trovare un giusto equilibrio, comunicando in modo trasparente e basato su fatti concreti, è quindi essenziale per evitare entrambi i rischi.
Le conseguenze del greenhushing
In effetti, non comunicare sui propri impegni può creare un clima di sfiducia. Consumatori e investitori hanno bisogno di informazioni chiare e verificabili per giudicare i reali sforzi delle aziende. Inoltre, senza la condivisione delle buone pratiche, le aziende non beneficiano dell'effetto di influenza reciproca nei rispettivi settori. Inoltre, i dipendenti coinvolti in iniziative di responsabilità sociale d'impresa possono sentirsi demotivati se i loro sforzi non vengono messi in evidenza. Questo può portare ad una mancanza di riconoscimento e motivazione. In sintesi, il silenzio rallenta l'adozione di soluzioni innovative e il progresso collettivo verso un modello più sostenibile.
Le soluzioni per evitare il greenhushing
Nella sua guida sulla comunicazione responsabile, l'ADEME evidenzia tre pilastri: la trasparenza, l'eco-comunicazione e la comunicazione sugli impegni.
La comunicazione responsabile non consiste nel sovraccarico di informazioni, ma nell’informare con trasparenza, spiegare senza esagerare, presentare i risultati in modo realistico e misurabile e riconoscere che la perfezione non esiste, ma che il progresso può essere valorizzato, se orientato verso un obiettivo di sostenibilità coerente.
È essenziale adottare un approccio trasparente e coinvolgere i consumatori, gli esperti e le altre parti interessate per legittimare le iniziative e prevenire la sfiducia. Spiegare le azioni intraprese senza esagerarle è la strategia migliore. I consumatori apprezzano l’onestà. Dire "siamo in transizione, ecco a che punto siamo e cosa resta da fare" è più credibile di un discorso ingannevole. Tuttavia, è fondamentale non mettere in evidenza solo una parte degli sforzi, ma comunicare su tutte le azioni e gli impatti, che siano positivi o ancora in fase di miglioramento.
Certificazioni serie come BCorp o standard come la CSRD conferiscono peso agli impegni delle aziende. Tuttavia, i marchi di qualità non sono una garanzia assoluta. Alcuni vengono assegnati in modo troppo permissivo e possono ridurre il valore reale dell’impegno ambientale. Devono quindi essere utilizzati come uno strumento complementare e non come esclusivo.
L'importanza della trasparenza
La trasparenza è fondamentale per instaurare una relazione di fiducia tra le aziende e le loro parti interessate. Una comunicazione chiara e onesta permette di dimostrare un impegno autentico verso la sostenibilità. Informando con obiettività sui progressi raggiunti e sulle sfide affrontate, le aziende mostrano di avanzare in un processo sincero piuttosto che in una strategia opportunistica.
Secondo l'ADEME, la comunicazione responsabile si basa su tre pilastri: la trasparenza, l'eco-comunicazione e la comunicazione sugli impegni. Ciò significa che non si tratta di sovraccaricare di informazioni, ma di informare con precisione e realismo, basandosi su dati concreti e obiettivi misurabili.
I consumatori si aspettano che le aziende siano oneste riguardo ai loro progressi e alle aree di miglioramento. Un discorso che ammette i limiti e gli sforzi ancora da compiere viene percepito come più credibile rispetto a una comunicazione eccessiva o ingannevole. Dire "siamo in transizione, ecco a che punto siamo e cosa resta da fare" è più efficace che pretendere di essere esemplari senza basi solide.
Inoltre, la trasparenza favorisce il coinvolgimento delle parti interessate. Condividendo regolarmente informazioni sulle proprie azioni e collaborando con esperti o ONG, le aziende rafforzano la legittimità del loro impegno. Utilizzare certificazioni serie come B Corp o standard come la CSRD può anche rendere più credibili gli impegni, a condizione che siano accompagnati da azioni concrete e da un monitoraggio regolare.
Conclusione : trovare l'equilibrio tra la comunicazione e l'azione
In conclusione, il greenhushing, pur essendo spesso meno criticato rispetto al greenwashing, può anch'esso ostacolare la transizione ecologica e la trasformazione collettiva del nostro sistema. È essenziale che le aziende comunichino sui propri sforzi in modo misurato, trasparente e sincero. Piuttosto che tacere o esagerare i propri impegni, dovrebbero trovare un giusto equilibrio per rispondere alle aspettative dei consumatori e trovare il loro posto in un mondo più sostenibile, dove nuovi modelli di business continueranno a trasformare positivamente la società.
Fonti :
https://shs.cairn.info/revue-decisions-marketing-2013-3-page-93?lang=fr
https://communication-responsable.ademe.fr/comprendre-le-marketing-responsable
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